Scrivono i Prof

"Tana! Liberi tutti"

Scritto da La cinciallegra il 15 Ottobre 2010.

Leggevo, ieri, in un testo del filosofo Fabrice Hadjadj, questo racconto di un nipotino e di suo nonno: “Il ragazzo Jehiel giocava un giorno a nascondino con un altro ragazzo. Egli si nascose ben bene e attese che il compagno lo cercasse. Dopo aver atteso a lungo, uscì dal nascondiglio, ma l’altro non si vedeva. Jehiel si accorse allora che quello non l’aveva mai cercato. Questo lo fece piangere. Piangendo corse nella stanza del nonno e con lui si lamentò del cattivo compagno di gioco (…)”.

Leggevo. Arrivata a queste parole, ho chiuso il libro e pure gli occhi. Ad occhi chiusi ho immaginato Jehiel e, in lui, tanti volti tristi. Ad occhi chiusi ho “visto” la faccia triste di tanti ragazzi d’oggi (e cioè di questa generazione) e la faccia triste di tanti ragazzi di oggi: gli studenti che incontro la mattina, a scuola, o nel cortile che il “Belli” pide con il Liceo “XXV Aprile”, o che camminano sotto i portici.

Facce di ragazzi che pare sognino solo di pentare “trasparenti”. O di potersi immergere nell’inchiostro simpatico per tutte e cinque le ore della mattinata. O di entrare a scuola solo dopo una bella passata di “bianchetto” che li renda indistinguibili.

Sono i ragazzi che il primo giorno di scuola scelgono l’ultimo banco in fondo. O, piccolini, cercano di mettersi dietro il compagno più alto della classe. O stanno assenti anche quando stanno bene. O scelgono il bar, o il parco, anziché la loro aula. O approfittano del giorno della manifestazione per eclissarsi. Sono i ragazzi che in classe non alzano mai la mano. O hanno la frangia lunga lunga fatta apposta per coprire gli occhi, così non sai mai se “ci sono” con la testa o sono seduti lì, ma il cervello è…altrove.

Sono i ragazzi che a ricreazione stanno in classe o, in cortile, si annullano nel gruppo. Ragazzi di cui impari il nome solo dopo un bel po’, perché non c’è nulla che li contraddistingua, per il semplice fatto che non vogliono essere contraddistinti. E così si vestono come gli altri, hanno lo stesso taglio di capelli degli altri, le stesse scarpe, la stessa felpa col cappuccio tirato su, la stessa sciarpa che copre mezza faccia, lo stesso zaino, gli stessi auricolari che li isolino anche acusticamente dal mondo.

Qualche volta stanno a casa e non li vedi per un po’ e nessuno dei compagni sa dirti come mai. Poi un giorno tornano e restano nell’angolo. Stessa espressione del viso. Stessi espedienti per passare inosservati.

Sono ragazzi di cui probabilmente non conoscerai mai nemmeno i genitori, perché forse hanno genitori trasparenti come loro.

Sono i ragazzi che non protestano, che non contestano, che non chiedono se non hanno capito.Non disturbano. Sono “lì”. “Lì” per cinque o sei anni.

Ai Consigli di classe ti confronti con i colleghi e senti, di questi ragazzi, che sono “riservati”, o “poco interessati”, “poco partecipi”.

“Però almeno non disturbano”, ti dicono. Li liquidano così e, siccome c’è sempre fretta e sempre tanti punti all’ordine del giorno, si va oltre: si parla di chi ha carenze, lacune da colmare, o di chi è esuberante e va richiamato all’ordine. Loro sempre lì. Nella nebbia della loro evanescenza. Una vita intera a…nascondersi.

Allora pensi a quand’eri bambina come Jehiel e a quando giocavi a nascondino anche tu.

“Nascondino” è un gioco bello perché il gusto di nascondersi è dato dalla certezza che qualcuno ti verrà a cercare. Magari ti arrabbi un po’, se vieni “beccato”, e stai lì ad osservare se agli altri va meglio che a te. Ma sai che alla fine arriva sempre un amico che dice “Tana! Libera tutti!”. Tutti sono liberi; non c’è da cercare più nessuno, perché tutti sono stati “trovati”, e il gioco ricomincia.

Ecco. Ad occhi chiusi ho immaginato i tanti Jehjel d’oggi e di oggi, che si nascondono e forse non sanno nemmeno loro tanto bene che, in fondo in fondo, lo fanno perché desiderano che qualcuno li vada a “stanare”.

Sembrano felici così: dietro le loro frange, oppure ombre del compagno più alto, oppure chiusi nel loro silenzio. E invece piangono senza accorgersi delle loro lacrime silenziose. O le conoscono bene, quelle lacrime, ma non vogliono farcele vedere. Ma in cuor loro, proprio come Jehiel ha confidato al nonno, sentono gli adulti come “cattivi compagni di gioco”.

“Tana! Liberi tutti!”. Ti sei nascosto? Ti ho cercato e ti ho trovato. Oggi si comincia un gioco nuovo. Insieme.