Scrivono i Prof

Precipitevolissimevolmente

Scritto da prof.ssa Luisella Saro il 29 Marzo 2010.

Visto che siamo pur sempre dentro un “giornalino d’Istituto” , tanto per darci un tono cominciamo con la parola che abbiamo scelto per il titolo, che è poi la parola più lunga presente nel dizionario della lingua italiana. Fatto. La lezione è finita. Anzi no. Per deformazione professionale mi tocca completare, sennò so già che stanotte non riuscirò a prendere sonno.
Trattasi di avverbio. Finish.
Embè?!

Ora ci arrivo, anzi: chiamo in soccorso Thomas Stearns Eliot, così, partendo da alcuni suoi versi tratti dalla poesia “La Rocca”, ci capiamo prima.
“Dov’è la vita che abbiamo persa vivendo? / Dov’è la saggezza che abbiamo perso nel sapere? / Dov’è il sapere che abbiamo perso mettendo insieme le nozioni?”.

Ecco. A scuola ci sono i programmi e le spiegazioni dei programmi e gli approfondimenti e le verifiche orali e i compiti scritti e le correzioni e le valutazioni e gli sportelli e i corsi di recupero e le prove sui corsi di recupero e le seconde e le terze possibilità se non recuperi; e poi ci sono conferenze, film, laboratori, presentazioni di libri, incontri con l’autore, stage, scambi, uscite, viaggi di istruzione, patentini, prevenzione dei disagi, progetti…e so di aver dimenticato sicuramente molto. Freud direbbe “rimozione”, credo.

Bene: rilancio Eliot. “Dov’è la vita che abbiamo persa vivendo? / Dov’è la saggezza che abbiamo perso nel sapere? / Dov’è il sapere che abbiamo perso mettendo insieme le nozioni?”.
Rilancio questi versi straordinari di questo poeta straordinario, perché la sensazione, purtroppo, è che, PRECIPITEVOLISSIMEVOLMENTE…tutto scivoli via.

Come se a scuola ci fosse ancora la divisa e la divisa fosse un impermeabile-burqa e a scuola lezioni e attività fossero gocce di pioggia che dovrebbero irrigare la mente e il cuore e invece scivolano giù precipitevolissimevolmente senza quasi lasciare traccia.
Anticipo l’alzata di scudi o le lance spezzate: è vero che non è colpa dei ragazzi se accade ciò e cioè se, bombardati dalla migliaia di informazioni che arrivano continuamente ai loro occhi soprattutto attraverso Internet (con annessi e connessi), i ragazzi faticano a “trattenere”, a “com-prendere”, nel suo bellissimo significato etimologico.


Se vanno dunque “assolti” i ragazzi, questo però non basta a tacitare la coscienza degli adulti.
Parlo per me: se mi fossi accontentata di fare l’ “istruttrice” e diciamola tutta- se avessi avuto in dono un fisico diverso- probabilmente, avendo abitato per un po’ a Jesolo, avrei fatto l’”istruttrice” di nuoto. Sono invece un’insegnante e dunque un’educatrice e non posso proprio accontentarmi di sentire: “Il mondo va così, che ci vuoi fare…”, o -che è peggio- : “Adeguati, che sembri una vecchia carrozza arrugginita!”. Col cavolo che mi rassegno, magari piagnucolandomi addosso! Col cavolo che mi adeguo e che mi faccio paragonare ad una vecchia carrozza arrugginita (che pure ha il suo fascino) !
In classe non serve l’impermeabile e non ci piace il burqa, perché, lavorando insieme, abbiamo bisogno di guardarci negli occhi, anzi, di più, perché “Ogni sguardo autentico è un itinerario verso la profondità nascosta: quando guardiamo chi ci guarda, noi non ci limitiamo a guardarci gli occhi, noi ci guardiamo negli occhi, andando al di là di ciò che è visibile”. (Jean Brun)
Ci sono infiniti modi, ovviamente, per far sì che delle tante cose che toccano o che sfiorano i ragazzi ogni giorno, a scuola, qualcosa resti e resti per loro, per la loro vita: per aiutarli a rispondere alle domande più importanti che hanno nel cuore e per aiutarli a diventare piano piano adulti maturi, responsabili e consapevoli.
Un modo, uno dei possibili, vuole essere, modestamente, questo giornalino.
Perché se sai che ti sarà chiesto di raccontare cos’hai vissuto, mentre vivi presterai più attenzione all’esperienza che stai compiendo; se ti è chiesto di mettere “nero su bianco” quello che desideri comunicare, devi necessariamente fermarti e riflettere, per cercare, tra i miliardi di parole possibili, quelle che senti “giuste” per te. Ed efficaci.
E così le esperienze si capitalizzano, gli incontri lasciano il segno e puoi dire, ogni giorno, che davvero hai “imparato” qualcosa che probabilmente non dimenticherai più. Magari una cosa sola, ma ogni giorno.
Perché…non si può perdere la vita vivendo!

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