Scrivono i Prof

Camminare anche da fermi? Si può!

Scritto da prof.ssa Luisella Saro il 01 Dicembre 2014.

… poi succede che un giorno cammini di fretta, tante cose per la testa, e scivoli. Non una caduta rovinosa, solo la sensazione di perdere l’equilibrio. E quel piede che anziché essere davanti te lo vedi all’indietro. Poi il 118, le sirene, l’ambulanza, l’ortopedico che riduce la lussazione, il gesso, l’intervento chirurgico per la frattura della tibia e del perone, le ferite, le placche, un altro gesso, i dolori…
Succede che quella scivolata banale alle 10.05 di una domenica di novembre dice stop al lavoro, alle scadenze, agli impegni, ai progetti. Ospedale e poi casa, riposo, immobilità.
Succede che capitano, nella vita, cose che non vorresti, che non hai cercato. E con quelle devi fare i conti.
Allora avverti il preside, che si attivi per il supplente. Parli con i ragazzi, spieghi. Senti i colleghi delle tue classi, gli altri. E tutti sono gentili, si rendono disponibili perché questo periodo sia il più indolore per tutti.
Si spostano i compiti, si riprogrammano le attività, si passa il testimone al supplente. Continuerà lui, con il suo stile didattico, con le sue modalità.
E tu, bloccata in quel letto di ospedale e di casa, tra un dolore e un altro hai un sacco di tempo per pensare, per porti domande.
Come vorrò ricordare questo inverno del 2014, il ponticello di legno dietro i Mulini, l’intervento, il gesso, la degenza, la riabilitazione? Un tra parentesi a cavallo tra il primo e il secondo quadrimestre? Un buco nero, un impreparato, un compito andato male?
Penso e mi tornano in mente le ultime lezioni nelle classi. Il Cantico di Frate Sole in terza, l’Illuminismo e Goldoni in quarta, Pascoli e il Decadentismo in quinta. E mi accorgo che ho imparato da Francesco questo sguardo colmo di gratitudine che guida i miei giorni qui, ora che nessun movimento è scontato e, ferma a letto, ogni visita, ogni pietanza, ogni momento senza dolore è un dono. Ora che, guardando il mio piede sinistro, bloccato, rifletto sulla meravigliosa complessità dell’articolazione del destro, che sta lavorando per tutti e due.
E cosa deve aver avuto nel cuore, Pascoli, quando parlava del nido, se non quel che sto provando ora che, nell’emergenza di ciò che mi è accaduto, i miei genitori, pur anziani, si sono resi disponibili ad ospitarmi da loro e a prendersi ancora una volta cura di me, e dopo 22 anni di matrimonio mi ritrovo nella casa d’infanzia...
Cosa vuol dire che “la malattia è uno stato di coscienza particolare, che consente al poeta veggente di andare oltre la superficie della realtà”? Oltre la scorza del dolore, le gemme. E’ quel che vedo. E’ quel che vivo.
E che dire di Robinson Crusoe, che ci ha insegnato a fare di necessità virtù?
Non è arida deformazione professionale, questa; non è nemmeno appigliarsi alla letteratura come ancora di salvezza, come distrazione in queste giornate che per la mentalità del mondo, che ci vuole efficienti e in perfetta forma fisica, sono totalmente vuote di senso.
Non sono state vuote, le mie giornate in ospedale; non sono vuote queste mie giornate a letto, in convalescenza, con licenza di alzarsi ma solo il tempo per recarsi in bagno. A renderle piene, innanzitutto, la compagnia dei familiari e degli amici; i messaggi e le visite dei colleghi e degli studenti. E’ da questo letto che ho avuto la conferma che la “buona scuola” è innanzitutto questo. Legami tra adulti e adulti, tra adulti e giovani che camminano insieme e che insieme percorrono un pezzetto di strada. E poi autori, testi, programmi che c’entrano con la vita e con le sue domande più vere. Che insegnano non a “dis-trarsi” ma a starci. Ad essere presenti al presente.
Non è tra parentesi, la scuola, tra gli hobby e il riposo. Qualcosa che si deve fare per quel pezzo di carta senza il quale non trovi lavoro, non vai da nessuna parte. O, per noi, in attesa dello stipendio di fine mese. La scuola è metodo per vivere la vita, le circostanze tutte, anche quelle che non ti sei cercato. Proprio come questa.
E allora sono più vere le cose che ho detto ai ragazzi spiegando il Cantico di Frate Sole, o Il Fanciullino di Pascoli, o Robinson Crusoe, che deve chiedersi cosa conta davvero, quando va a recuperare dalla nave che affonda solo le cose indispensabili, e recuperandone il senso le salva dal naufragio, che vuol dire salvarle dal nulla.
Sono più vere per me, ora che mi sono entrate nella carne così. Sono più vere per voi, ragazzi, ora che quelle parole, quei testi, sono visibili nella vita della vostra insegnante.
Ma sappiate che poteva essere Dante, Leopardi, Montale, Ungaretti, Pavese… Sarebbe stato lo stesso. Ciascun autore ha qualcosa da dire ad ognuno di noi adesso, qui. E “buona scuola” è innanzitutto aiutarci a capire questo. Allora niente è tra parentesi: non le lezioni in classe, non i momenti di fatica o di dolore, dentro e fuori le pareti della classe. Tutto c’entra con la vita e può diventare competenza. Non nel senso “scolastichese” del termine: nel senso che è sguardo nuovo sulla realtà, capacità di vivere con pienezza le diverse circostanze, senza cercare vie di fuga. Tutto aiuta a diventare grandi, e cioè più umani. Che, in fondo, è l’unico motivo davvero importante per cui stare al mondo.  

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