La vita è questione di centimetri
Scritto da Tommaso Fagotto il 02 Maggio 2016.
La lunga depressione che mi separa dal genere di romanzi teen e young adult e le varie città di carta e colpa delle stelle sta avanzando a passi schifati nella mia vita adolescenziale ancora poco, riempiendo i buchi delle mie ambizioni catastrofiche e disordinate, invadendo giardini che non frequento e occhi che non chiudo perché, ironia o no, dormo poco. L'aumento della percezione - bella - che siamo così insignificanti, un passatempo infantile, disegna muri pieni di scritte che riguardano il vino, la vita e lo scudetto della Juve, tanto infantile che se mi chiedessero "quanti anni hai?" risponderei, ignaro di averne venti dopodomani, "diciassette". Diciassette centimetri di vita ho percorso, anzi diciotto, poi ho fatto la patente, poi diciannove, e ancora non ne ho avuto abbastanza di dire, io guardo, guardo, di dire "angi chiedimi cosa mi affligge" e lei: "cosa ti affligge?" ed io "il fatto che la vita sia un dono e non una condanna".
Io sono un uomo disteso sul lato del dubbio, a luce spenta, che sa soltanto che morirà, non sa quanto né quando, che cerca le mani della donna che ama mentre lei è al carrefour con le amiche. La cerchi in tutti i quadri di donne carine, la gioventù dei quindici anni in cui ti domandi come sarai a vent'anni e poi ti guardi allo specchio, per farla breve, anzi per farla molto breve, ti guardi allo specchio e ti dici: "ecco, ecco come sarò a vent'anni, stessa faccia di m..., basso uguale, non posso più usare la scusa che sono piccolo, non posso più usare la bici rosa e mi tocca frequentare locali in cui sei obbligato a prendere almeno una roba da bere e dove - questo fa ridere - l'acqua del rubinetto si paga, ahimè, un euro e quaranta. Le acque del Basso Livenza mi hanno deluso, vita mia, consolami tu con un bacio, che si muore, si muore, si muore più forte che mai... io faccio nove vaccini all'anno contro l'allergia e neanche uno contro la vita. Ma dovrebbero inventarlo! Dovremmo alzarci e cantare e onorare la non-vita! Dovremmo dirci, oggi, "che bello essere morti!" perché essere vivi fa più male che il male, fa più male che mai. Tocco la fine della gonna alla mia donna mentre la consolo e arrotolo l'ennesima simulazione di terza prova, per fumarmela sul sedile posteriore della mia Panda rosso sbattuto (il nome del colore l'ho inventato io), e sottolineo al mondo che, se la mia felicità imbarazza, quella degli altri - ben troppa- vi riempirà il cuore di infarti al punto che arriverete a pensare d'essere personaggi di una commedia e desiderare di scappare, di squarciare il tetto del teatro-vita che stiamo vivendo in cerca dell'autore per mandarlo definitivamente a fare in c...
La vita è teatro nel teatro (chi è lo stupido che non ha letto Pirandello?), e il nostro palcoscenico è la scuola dove tutti i giorni facciamo finta di vivere e moriamo ad ogni scalino maledetto, investendoci di cariche e responsabilità che non porteremo mai a termine, rappresentiamo, presentiamo, suoniamo, spieghiamo, scriviamo in nome di un numero che ci farà accedere ad una delle università che finita finiremo per entrare in banca fare i baristi fumare sigarette e infine dire di sentirci realizzati a vivere da commessi e morire contenti rivivendo la volta in cui siamo stati al concerto di Calcutta con Ludovico per festeggiare, appunto, i venti anni di morte.