Scrivono i Prof

Editoriale di fine agosto

Scritto da La cinciallegra il 20 Agosto 2010.

ESAMI DI RECUPERO DEI DEBITI. ISTRUZIONI PER L’USO.


Difficile trovare un titolo per questo articolo. L’argomento è serio e non è il caso di rischiare con frasi ad effetto. Siccome è tempo sprecato raccontare tutti i voli acrobatici effettuati dalla cinciallegra per approdare alla scelta finale, sintetizziamo.
Titolo volutamente banale, ma chiaro. Obiettivo: “smontarlo” per recuperarne il senso, spesso distorto. In questo compito, per la verità arduo, per fortuna la cinciallegra non è sola, ma è aiutata dall’amico a quattro zampe Perry Bau e dalla sua padrona, Paola Mastrocola, autrice del saggio “La scuola raccontata al mio cane” (ed. Guanda).
Iniziamo proprio da lei: “Vorrei che fosse possibile ridare alle parole il loro senso originario, e ogni volta usarle secondo questo senso, e non secondo le decine di sensi aggiunti che si sono andati sovrapponendo negli anni, creando strati, croste malsane che obnubilano la primitiva e sana sostanza”.
Premessa importante perché sostanziale. Ma andiamo al sodo.

Siccome dal 25 agosto nella nostra scuola ci saranno gli “esami per il recupero dei debiti” (si dice proprio così!) proviamo, accompagnati dall’autrice del saggio e dal suo cane Perry Bau, a “smontare”, come anticipato, il titolo dell’articolo, interrogandoci, con lei, innanzitutto sul termine “debito”.
Poiché i termini “promosso” e “bocciato”, come già ricordato nell’editoriale di luglio, ad un certo punto sono supercalifragilistichespiralidosamente spariti dalla scuola (la cinciallegra si sta ancora arrovellando invano nei suoi “perché?” verosimilmente destinati a restare senza una risposta convincente), è bene ricordare ai lettori i tre possibili esiti degli scrutini di giugno: studenti ammessi all’anno successivo, studenti non ammessi, studenti con giudizio sospeso a causa dell’assegnazione di uno o più “debiti”, in una o più discipline.
In questo articolo ci occuperemo degli studenti con “debito”.
Ecco di nuovo la Mastrocola, che si rivolge ad un ipotetico allievo: “In debito con chi? Con te stesso? Con i genitori che ti mantengono agli studi? Con la società in senso lato? Oppure con l’insegnante, il quale ti darà un certo qual tempo affinché tu estingua quel debito, o meglio riesca a colmarlo? Non importa, il ‘con chi’ non si è mai chiarito. (…) La parola debito entra nella scuola e diventa…solo una parola! Una innocua, insignificante parola. Senza un complemento chiaro (debito verso chi?) e che si accompagna, per giunta, a un verbo particolare, il verbo colmare, così come al veleno si accompagna, o almeno si spera, l’antidoto. (…) Il verbo colmare fa da veicolo all’antidoto del debito, che è il recupero, in una specie di salvifica e solidale catena di sant’Antonio. In questo senso: ti sei preso un debito? Non importa, ti bevi il recupero e colmi il debito”.
E così a scuola, ormai diversi anni fa, sono nati i corsi di recupero, in un’ottica talvolta fuorviante e spesso, purtroppo, diseducativa: “Io scuola ti ho assegnato il debito; io scuola mi impegno a recuperarti”. Siccome la scuola non è un’entità astratta, ma è fatta di insegnanti e studenti, tocca dire che è capitato che alcuni genitori e alcuni studenti in questi anni abbiano interpretato “liberamente” la normativa (obiettivamente - hic stantibus rebus - è difficile dar loro completamente torto!) e tradotto/semplificato più o meno così: l’ insegnante ha assegnato allo studente un debito; compito dell’ insegnante recuperare. (Lo studente? Il debito? Dubbio amletico. Boh!).
Cosa accade, concretamente, dopo gli scrutini di giugno?
Qualche Istituto, appena concluso l’anno scolastico organizza piccoli corsi (le risorse economiche – è risaputo – sono quelle che sono) e poi, terminati i corsi, e cioè a luglio, somministra le prove d’esame agli studenti, nell’ipotesi fantascientifica e quindi in-credibile (nel senso letterale di “non credibile”), che un allievo che ha avuto per mesi difficoltà carenze lacune o più semplicemente zero-voglia-di-studiare, oplà, in quindici - venti giorni “recuperi” una, due, tre materie.
Non lo crede possibile neanche una vongola, che notoriamente ha il cervello più piccolo di una cinciallegra, eppure, a scuola, evidentemente i miracoli esistono. Eccome, se esistono!
Magari, di fronte a questo genere di “miracoli”, si demotiva, gli girano un po’ (i pensieri), o arrostisce i libri, o si candida come “debitore” per l’anno successivo, l’allievo che ha studiato seriamente nove mesi e che si chiede chi-me-l’ha-fatto-fare. Ma questo è un altro discorso, che merita (lui sì, la merita davvero!) una serissima riflessione a parte.
Per molti “debitori” funziona pressappoco così: debito o debiti da colmare, breve corso di recupero a scuola, studio (a piccole dosi, mi raccomando!), esame, verbali, firme, timbri, carte a posto, e poi, già a fine luglio…stessa spiaggia stesso mare, cioè vacanze.
Altre scuole (la nostra per fortuna è tra quelle) organizzano i corsi per luglio e gli esami di recupero si fissano alla fine di agosto o ai primi di settembre, per dare modo agli studenti di “recuperare”, se non tutte le lacune, almeno…il tempo perduto durante l’anno scolastico.
Critica nei confronti del termine “recupero” per il rischio sopra ricordato, ovvero che lo studente si senta “soggetto-passivo-cui-tutto-è-dovuto”, la Mastrocola si sofferma a riflettere sul termine “riparazione”.
“Nel vecchio ordinamento - scrive – c’era solo un verbo passivo: rimandare; l’allievo veniva rimandato e quindi doveva riparare. Che logica! Che mondo logicamente ordinato! L’insegnante rimanda (…) e l’allievo si tira su le maniche e ripara: salutare cambio di soggetto!”. E aggiunge: “Si sentiva, in questa parola, un antico sapore, una specie di retrogusto che riportava a quei mestieri di una volta, tipo il ciabattino, che consistevano nel riparare ciò che si era guastato. (…) Era l’idea di un mondo in cui nulla andava gettato via, ma tutto veniva, con pazienza, dedizione e fatica, ricostruito”.
Pazienza? Se penso alle tante scuole che hanno chiuso la partita con lo studente che aveva debito in una, due, tre materie…solo un mese dopo la fine dell’anno scolastico, gli occhietti della cinciallegra vedono tutto, tranne la pazienza.
E che dire della fatica? Ragionamento dello studente “scafato”: non studio (o studio poco) nove mesi; frequento otto-dieci ore di corso insieme ad altri “debitori” come me; studio quindici giorni (ma mica tutto il giorno!); faccio l’esame e mi godo l’estate. Io e pure i docenti del mio Consiglio di classe. (La cinciallegra vorrebbe vedere statisticamente quanti studenti italiani, che a luglio hanno sostenuto l’esame per il recupero dei debiti assegnati solo un mese prima, non sono stati poi ammessi all’anno successivo…Lei ha la codina di piume, ma forse qualcuno ha la coda di paglia e magari a luglio ha chiuso un occhio o anche tutti e due, per non rischiare ricorsi. Se la cinciallegra ha detto che prima o poi farà un voletto tra le scartoffie ministeriali, conoscendola, c’è da crederle! Guarda un po’: per ricordare l’impegno preso, ha già fatto un piccolo nodo alla piumetta gialla dell’aluccia destra…).
Dedizione? Se, come si legge nel dizionario, significa “atto del dedicarsi completamente e con passione ad una attività” e il suo sinonimo è “abnegazione”, temo sia difficile, in un mese e con le modalità sopra ricordate, far scattare nei “debitori” l’abnegazione…
Cosa augurarsi, dunque, per il bene (quello vero!) dei ragazzi che si apprestano a sostenere gli esami?
Intanto che non sia vero ciò che l’autrice del saggio temeva nel 2004, e cioè che “al grido ‘io ti recupero’ abbiamo incrinato nei nostri giovani il senso della responsabilità individuale, il dovere di rispondere delle proprie azioni, la certezza di pagare, in qualche modo, un prezzo”.
Saremmo falliti come educatori.
C’è da augurarsi, poi, che, da quando sono usciti i tabelloni con i voti, fino al 24 agosto, chi non ha raggiunto, entro la fine del secondo quadrimestre, una preparazione sufficiente, si sia impegnato con responsabilità, pazienza, fatica e almeno un po’ di dedizione, per riparare la (o le) falle della “barchetta” della propria formazione scolastica. Da soggetto attivo.
Perché se vogliamo sforzarci di immaginare che il termine “debito” possa avere, nel mondo della scuola, un significato sensato, è opportuno che gli adulti (genitori e insegnanti) aiutino lo studente a capire che, se, per varie ragioni, il Consiglio di classe a giugno gli ha “sospeso il giudizio”, è in debito solo e soltanto con se stesso. Significa che ha avuto poco a cuore la sua formazione culturale. Ed è lui che deve “riparare” (che vuol dire volersi bene: desiderare il bene della /per la propria vita).
Perché gli insegnanti, durante le poche ore dei corsi estivi, al massimo possono aiutare l’allievo a “recuperare” gli strumenti, i pezzi per riparare la “barca”, ma non possono (e soprattutto non devono!) sostituirsi a lui, nella fase di “riparazione”.
E perché, se la (o le) falle non vengono “riparate” bene, si riapriranno, e la barca, prima o poi, affonderà. Lei e il suo proprietario. Mica i “fornitori dei pezzi”, e cioè gli insegnanti!
Affonderà. Anche se il docente, temendo di fare brutta figura lui, finge di non vedere le falle, perché in questi anni ha permesso che qualcuno gli annebbiasse la mente con l’idea malsana che è compito suo “recuperare” lo studente o il “debito” dello studente (e non compito dello studente, pur aiutato, prendersi cura della barca della propria vita, eventualmente tappandone i buchi).
Una barca non riparata a dovere affonda. Lo capiscono persino i bambini. Prima o poi affonda.
Dovere dell’insegnante, ora, non venir meno al suo compito primario, che, in questi giorni d’esame, è verificare seriamente, per il bene vero di chi ha di fronte, la tenuta finalmente stagna della barca che a giugno era un colabrodo e che, dal 13 settembre, dovrà avere le carte in regola per poter riprendere il mare in condizioni di sicurezza.

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