Progetti e attività

A proposito di stage

Scritto da Redazione il 29 Luglio 2011.

Intervista alla prof.ssa Paola Falcomer, funzione strumentale ‘Rapporti con il territorio’ presso la nostra scuola
Ogni tanto incontro qualcuno, qualche genitore, ma anche qualche collega, che mi chiede che cosa siano gli stage, quale impegno comportino per gli studenti, che cosa s’impara durante questa attività, o che vuole sapere se sono obbligatori o facoltativi. Ho deciso di intervistare la prof.ssa Paola Falcomer per saperne di più ed offrire informazioni anche a voi, visitatori-lettori del nostro giornale on line.
G. Bellomo‘Stage’ si pronuncia all’inglese o alla francese? Vuoi, gentilmente, cominciare a rispondere con un chiarimento relativo al termine?
P. Facomer: Non sei la sola a confondere.
Il termine è scritto allo stesso modo: ‘stage’ in francese e inglese, ma il significato e la pronuncia non sono gli stessi.
In francese ‘stage’ (si pronuncia stàj; con la g  finale di garage) significa “pratica”, “sosta in una particolare situazione professionale”; chi svolge uno stage viene chiamato stageur, in italiano spesso sostituito dal neologismo “stagista”.
In inglese ‘stage’ (si pronuncia stèig; con la g di gelato) significa, invece, “palcoscenico, teatro” e “to stage” significa “mettere in scena”. Ma, nel mondo anglosassone, per indicare un periodo di formazione in un contesto lavorativo e perciò con lo stesso significato del termine francese ‘stage’, si usa il termine “work esperience” o “internship”.
Volendo recuperare il significato del termine inglese ‘stage’- utilizzato impropriamente da tanti - si può pensare al contesto aziendale come ad un palcoscenico: lo studente agisce “come se” stesse lavorando e sperimenta il ruolo di “lavoratore”, affiancato da un dipendente dell’azienda che invece è lavoratore a tutti gli effetti.
Il termine italiano corrispondente a ‘stage’ più appropriato è ‘tirocinio’, che sta ad indicare un  periodo di formazione realizzato in contesto produttivo. Il legislatore utilizza esclusivamente l’espressione “tirocinio di formazione ed orientamento al lavoro”, ma la prassi tende ad utilizzare il termine ‘stage’.
Ma veniamo alla nostra scuola e ad una precisazione.
I brevi periodi di ‘stage’ che vengono attivati durante i cinque anni scolastici hanno soprattutto un valore orientativo poiché, come facilmente si può immaginare, l’acquisizione di vere e proprie competenze di lavoro non può avvenire in una quindicina di giorni circa. Sono piuttosto occasioni di apprendimento e arricchimento personale nelle quali gli studenti si misurano con problemi reali e situazioni di vita concrete.
 
G. Bellomo: Fatta questa precisazione, in che cosa consiste l’attività degli stage al ‘Belli’?
P. Facomer: Da subito distinguo gli stage attivati per l’Indirizzo Linguistico da quelli dell’indirizzo di Scienze Sociali (vedremo in seguito alla riforma della scuola, cosa ci sarà, eventualmente, da cambiare) e dagli stage lavorativi o di orientamento, dagli studenti conosciuti come “stage estivi”. Questi ultimi, in parte, prevedono un piccolo compenso offerto dalla Regione Veneto e gestito dalla Provincia di  Venezia, che organizza; in passato contribuiva anche la Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia.
A causa della riduzione dei fondi, metà delle richieste, lo scorso anno, non sono state soddisfatte dalla Regione Veneto con un compenso e, perciò, abbiamo istituito gli stage volontari. Anche oggi percorriamo questa strada.
Quest’anno 41 studenti hanno accettato di svolgere gli stage estivi anche senza compenso. Il finanziamento dalla Regione Vento, gestito dalla Provincia di Venezia, è stato comunicato solo a luglio 2011, a stage quasi ultimati.
L’adesione allo stage estivo è da noi così richiesta, soprattutto dagli studenti delle classi terze, in quanto ci sono dei genitori che preferiscono un’esperienza di stage volontario da parte del figlio/a e seguito dalla supervisione dei docenti, e grazie anche alla positività delle attività svolte dai ragazzi nelle strutture individuate.
Gli stage che riguardano le classi terze, quarte, quinte, sono stati realizzati a partire dalla prima classe terza (a.s. 2000/2001) dell’allora indirizzo di Scienze Sociali (avviato nel 1988).
Al tempo erano state coinvolte anche le classi seconde; ricordo, in particolare la collaborazione offerta per l’avvio del Museo etnografico di Fossalta di Portogruaro (http://sbmp.provincia.venezia.it/mir/musei/fossalta/home_e.htm).
Negli ultimi anni, si è consolidata l’attività di stage presso la Scuole dell’infanzia e la Scuola Primaria del territorio, che coinvolge, di preferenza, gli studenti di classe quinta ed è direttamente collegata con lo studio della psicologia evolutiva. Solitamente, le settimane dell’anno scolastico (dal lunedì al venerdì) nelle quali i nostri allievi si recano presso le scuole è lo stesso. Quest’anno gli studenti delle classi quinte sono andati tutti contemporaneamente nella prima settimana del secondo quadrimestre a svolgere l’attività di stage in strutture vicino al luogo di residenza, in modo da creare meno disagio agli allievi e ai docenti.
Gli stage per le classi terze e quarte sono previsti in tempi diversi e l’attività effettivamente svolta è proposta e decisa dal docente responsabile.
Fra gli stage realizzati ne nomino alcuni.
Abbiamo collaborato con la Casa di Riposo o Residenza per Anziani ‘G. Francescon’ di Portogruaro con varie classi e per più volte. Attivato lo stage, gli studenti sono stati impegnati di pomeriggio e, secondo l’ordine di turno, hanno svolto le attività di animazione.
È stata poi sfruttata l’opportunità della ‘Simulazione d’impresa’, che ha coinvolto due classi per due anni scolastici. Si tratta di una attività realizzata a scuola e molto articolata.
Per cinque anni gli studenti delle classi quarte hanno partecipato all’attività promossa dalla ‘Associazione Teatro Viaggiante’, hanno lavorato insieme ad utenti ed operatori del ‘Centro Salute Mentale’ di Portogruaro e hanno incontrato, attraverso il teatro, le persone colpite dalla malattia mentale con le quali hanno proposto agli studenti del Belli la visione degli spettacoli messi in scena. È stata una attività molto interessante e coinvolgente per i ragazzi (http://www.teatroviaggiante.org/?page_id=5).
Una parte degli stage si svolge nella modalità dello scambio.
Alcuni scambi tra classi della nostra scuola e classi di scuole che si trovano all’estero sono avvenuti grazie all’attività ‘Progetti Europei LLP’ (Lifelong Learning Programme) e, in particolare, nelle partnership Comenius, il cui referente, da diversi anni, è il professore Defina. Durante l’a.s. sono coinvolte una o due classi. È un’esperienza significativa, che comporta grande lavoro per i docenti e per gli studenti e che offre grossi frutti anche in ambito pluridisciplinare.
Uno stage particolare ha riguardato una nostra ex-studentessa, che durante il percorso universitario ha svolto attività di ricerca nella nostra scuola.
 
G. Bellomo: Da quanto tempo sei referente per gli stage?
P. Facomer: Sono referente per la gestione dei progetti-stage da quattro anni e, in qualità di funzione strumentale per i rapporti con il territorio, mi occupo di contattare le ditte e altri soggetti istituzionali. In alcuni casi mi occupo della gestione amministrativa, delle convenzioni e di quanto serve per realizzare gli stage.
 
G. Bellomo: Gli studenti sono soddisfatti delle esperienze degli stage? Hanno un senso per loro? Riconoscono la positività dell’esperienza? La considerano un perder tempo?
P. Facomer: Perder tempo? Certamente no!
Certo la significatività dell’esperienza dipende dall’abilità del docente referente nel saper coinvolgere i ragazzi. È chiaro che se c’è un buon coinvolgimento, gli studenti, alla fine, dimostrano soddisfazione.
Bisogna però anche dire che alcune attività sono di per se stesse coinvolgenti e i risultati, in termini di soddisfazione e di arricchimento personale, sono subito evidenti, mentre altre comportano un apporto maggiore di motivazione e tempi più lunghi di riconoscimento.
Ad esempio, quanto tu, studente, torni a casa dallo stage all’estero, hai incorporato un bel bagaglio di cambiamento del quale, forse, all’inizio non ti rendi neppure conto.
Atri stage, come quello dell’ ‘Impresa Simulata’, un po’ complesso, protratto per più tempo e svolto nelle aule della scuola, può sembrare meno coinvolgente per gli studenti, ma è certamente in grado di aumentare le informazioni conosciute dai ragazzi e di sviluppare diverse abilità. È anche vero, come del resto lo è per tutta l’attività scolastica, che i cambiamenti si evidenziano con il tempo.
Sta un po’ anche a noi, come docenti, far capire meglio il valore dell’esperienza.
Ricordo una studentessa che seguiva un percorso universitario sull’handicap, sorpresa nel vedere in difficoltà i compagni universitari, preoccupati per il tirocinio, mentre lei si è scoperta pronta e per nulla timorosa. Quello che seminiamo non sempre si vede fiorire il giorno dopo. Può accadere che durante uno stage qualche studente si renda conto che gli piace aver a che fare con i bambini, o scopre che aver a che fare con gli anziani della casa di riposo è interessante e, di conseguenza, l’esperienza assume valore orientativo e diventa gratificante.
 
G. Bellomo: Trovi sufficiente il tempo dedicato all’attività degli stage? Sono sufficienti una settimana, dieci giorni per realizzare un contatto significativo con il mondo del lavoro, perché un ragazzo si provi in qualche attività?
P. Facomer: Rispondo a questa domanda prendendo in considerazione gli stage estivi orientativi  per i quali la Regione prevede almeno 80 ore distribuite in quattro settimane. Questo tempo comincia ad essere interessante. Una settimana, invece, è certamente un periodo troppo breve per promuovere l’acquisizione di abilità in modo significativo. L’attività di stage realizzata in collaborazione con l’ ‘Associazione Teatro Viaggiante’ si è protratta per diverse settimane e gli studenti hanno avuto anche modo di rielaborare in classe il vissuto e di rendersi conto di aspetti essenziali.
 
G. Bellomo: Gli enti esterni, i referenti delle ditte esterne che tu hai contattato per avviare alcuni stage, credono in questa attività, la facilitano, ritengono un fastidio introdurre nel proprio ambiente di lavoro degli studenti?
P. Facomer: I contatti sono iniziati diversi anni fa e io, la prof.ssa Renata Morandini e il prof Turido Pasian eravamo i primi ad organizzare gli stage. Abbiamo dovuto promuovere l’idea e far comprendere il valore e l’opportunità che, in questo modo, si offrivano agli studenti. Oramai, quanti collaborano sanno di che si tratta ed è più facile lavorare insieme e far rendere significativa l’esperienza ai ragazzi. Le aziende hanno capito che questa è diventata un’opportunità anche per loro  e non solo per noi; alcuni iniziano a chiamare e ad offrire la loro disponibilità ad ospitarci. Dobbiamo ringraziare i nostri ragazzi che hanno ben seminato anche per i futuri studenti del 'Belli' e anche chi ci ospita, perché ha ben lavorato per il futuro.
 
G. Bellomo: Ci sono dei punti critici rispetto ai quali ci dovrebbe essere evoluzione, cambiamento?
P. Facomer: Nel nostro indirizzo capita che gli insegnanti cambino spesso e, quindi, ogni volta, nei consigli di classe, si deve ricreare un clima di lavoro favorevole. Non sempre e non tutti i docenti sono pronti ad affrontare con entusiasmo l’attività di stage.
Forse sarebbe utile creare un archivio delle esperienze e favorire una maggior collaborazione fra i docenti che svolgono una stessa attività per facilitare la condivisione delle esperienze, specie di quelle virtuose, che ricaricano un po’. Sì, è necessaria una condivisione maggiore nel consiglio di classe: lo stage dovrebbe essere condiviso da tutti i docenti. L’esperienza, fra l’altro, suggerisce che i ragazzi partecipino in piccoli gruppi perché siano meglio seguiti dai tutor aziendali, come prevede la normativa.
 
G. Bellomo: Ho sentito degli studenti esprimersi e dire: “Mi mandano due giorni in quel posto e lì non faccio niente.”
P. Facomer: Bisogna considerare come, questi studenti, sono stati preparati allo stage. Ci sono stage che prevedono ‘solo’ l’osservazione. Anche in due giorni un docente potrebbe accorgersi se lo studente sa osservare e se sa trarre informazioni da quanto osservato sul lavoro che ha visto fare.
Questo mi fa venire in mente che c’è il problema della valutazione degli studenti in stage.
Come valutare le competenze acquisite durante una certa attività, anche se breve? Come valutare delle competenze organizzative o di tipo relazionale?
Ora, nei curriculum vitae, si fanno delle domande tipo: “Quanto sei in grado di lavorare con gli altri?”. Questo non è così semplice da definire, valutare ed, eventualmente, certificare.
La stessa osservazione degli studenti che lavorano in gruppo, da parte di noi docenti, comporta delle difficoltà nella valutazione dei singoli.
 
G. Bellomo: Ma la valutazione puntuale degli studenti che partecipano all’attività di stage è veramente necessaria?
P. Facomer: È necessaria, ed è forse utile affidarla ai tutor esterni. È un aspetto da approfondire. Mi vengono in mente domande come: “Chi valuta nelle attività di scambio? La famiglia che ha ospitato gli studenti? I docenti della scuola con la quale si effettua lo scambio?”.
Ma c’è una domanda più comune che mi si presenta perché, nella scuola c’è chi ricava molto dall’esperienza e chi ne ricava ben poco e continua a chiedersi: “A cosa mi serve fare matematica?”. E’ la domanda sul perché, sul come e cosa studiare e sull’importanza della motivazione in apprendimento.
   
 
Saluto e ringrazio Paola per aver accolto l’invito a rispondere alle domande e aver offerto qualche informazione in più su queste esperienze che, anche a fatica, cercano di costruire piccoli ponti fra realtà scolastica, realtà lavorative locali ed altre scuole europee.

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