Incontri e riflessioni

In trincea

Scritto da Studenti di 5CU il 19 Dicembre 2016.

Un conto è leggere parole sui libri, guardare documentari alla Lim, ascoltare i prof. a lezione, studiare distrattamente per l'interrogazione. Un altro conto è calpestare quei sassi, quell'erba che hanno calpestato loro, i soldati, nel monte San Martino, entrare nelle loro trincee. Vedere, al museo della Prima Guerra Mondiale, a Gorizia, le foto vere, i reperti veri, le armi vere dei combattenti al fronte. Vederle, le loro calzature sbrindellate, la loro divisa-di-lana-per-tutte-le-stagioni. Torni a casa e non sei più lo stesso.
Un conto è leggere parole sui libri, guardare documentari alla Lim, ascoltare i prof. a lezione, studiare distrattamente per l'interrogazione. Un altro conto è calpestare quei sassi, quell'erba che hanno calpestato loro, i soldati, nel monte San Martino, entrare nelle loro trincee. Vedere, al museo della Prima Guerra Mondiale, a Gorizia, le foto vere, i reperti veri, le armi vere dei combattenti al fronte. Vederle, le loro calzature sbrindellate, la loro divisa-di-lana-per-tutte-le-stagioni. Torni a casa e non sei più lo stesso.
 
NON DEVE ESSERE STATO FACILE 
Lì, lì dove tanti hanno vissuto, hanno mangiato, poco, hanno dormito, poco, hanno riso, poco, hanno combattuto per difendere la loro patria, ora c’è una rigogliosa vegetazione che circonda quei massi, quelle pietre che un tempo erano macchiate di sangue, ricoperte di corpi.
 Se quegli uomini dovessero vedere adesso quel posto, rimarrebbero sbalorditi: non se lo sarebbero mai immaginato così, di nuovo vivo.
Forse ci speravano, ma immaginarlo no. D’altronde come potevano, vedendo quello che stava succedendo, vedendo i loro amici andarsene così per un colpo di mitragliatrice, sentendo l’aria irrespirabile per i gas; come potevano se ogni giorno, ogni ora, ogni minuto molti di loro se ne andavano, se non potevano nemmeno uscire per dare una degna sepoltura ai caduti, se erano sempre costretti a stare lì, lì seduti, lì in piedi, lì sull’attenti, sempre pronti per non farsi cogliere impreparati.
Non deve essere stato facile non poter sapere come stava la propria famiglia a casa: madri, padri, mogli, figli, non deve essere stato facile vivere con la paura di poter morire da un momento all’altro, non deve essere stato facile avere tutto quel coraggio, non deve essere stato facile essere un soldato. 
ANNA SELVAGGI
 
QUALCUNO CHE SI CURI DI ME
Disteso, abbandonato, aspettando la morte. E' facile credere in Dio nel mondo in cui vivo: ne ho bisogno perché non c'è nulla per cui combattere, se non per sperare che qualcuno si curi di me, una volta che avrò lasciato questa terra. Nella vastità che mi circonda vedo solo crudeltà e cattiveria. Dov'è la mia pace? Per cosa ho vissuto? Ho bisogno di un Dio che mi strappi da tutto e metta fine a questa follia, ho bisogno di credere che la vita non sarà per tutti così, che la mia sorte sarà di insegnamento per tutti in futuro, perché gli uomini devono capire che qualsiasi guerra è sbagliata e la vita ha un valore inestimabile, intangibile.  
CLARA ZORZIN
 
CARA FRANCESCA
07/06/1915
Cara Francesca, 
mi trovo qui a scriverti, mi manca la tua presenza.
Mi manca svegliarmi con te accanto. Ora non riconosco più il giorno e la notte, dobbiamo essere sempre in allerta. Il mio corpo mi è sconosciuto: dormire seduti, in piedi, stare dentro le trincee piene d’acqua… Abbiamo poche razioni di cibo e quello che ci arriva è stato preparato la mattina per la sera, l’acqua spesso manca.
Ho imparato ad usare le armi. Non pensavo fosse così difficile uccidere qualcuno: alla fine, anche loro avranno una famiglia, dei figli, come me.
Sei una delle poche ragioni che mi fanno andare avanti. Sei l’unica che mi tiene legato alla realtà perché quello che faccio ogni giorno mi fa allontanare sempre di più dalla persona che ero.
Probabilmente questa lettera non ti arriverà perché loro controllano ciò che scriviamo, ma la speranza non muore mai.
Ti riscriverò, a presto mia amata.
Il tuo Piero
SARA MACCHI
 

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